venerdì 22 settembre 2017

Vacanze nella valle del Cervo

 Nel 1963 Adriana si maritò con mio cugino Lino . Il pranzo di nozze si tenne nell’Albergo Mologna di Piedicavallo, paese di cui era originaria la sposa, e qui tra una chiacchera e l’altra mia madre venne a sapere che Onorina aveva una casa disponibile all’affitto, in una frazione poco distante. Senza neppur vedere la casa si accordò per i mesi estivi.
 Fu così che nel mese di giugno, terminate le scuole, io e mia nonna ci trovammo sull’autobus numero 16 che da Biella porta a Piedicavallo. Al capolinea scaricammo la grossa valigia di cartone telato ed un borsone comperato per l’occasione. Dentro, tutto l’occorrente necessario a garantirci due mesi di sopravvivenza in un paese di cui fino a qualche tempo prima ignoravamo l’esistenza: lenzuola, federe, qualche provvista, vestiti leggeri e pesanti , perché, come diceva mia nonna “pon e pagn iin bon cumpagn” (pane e panni sono buoni compagni). 
 Venni mandato in esplorazione a cercare la strada che conduceva a Montesinaro dove ci aspettava l’Onorina per darci le chiavi. Non fu difficile trovarla: un cartello di colore azzurro indicava la direzione. Al di sotto un altro cartello: “ Rassa, 7h e 30’ Mia nonna, nei suoi sessant’anni passati, non si era quasi mai allontanata dal paese dove abitava. Si guardò intorno, come se volesse imprimere nella memoria la geografia del luogo, poi prese la maniglia della valigia e disse “ ‘nduma” Capimmo subito che quello non era posto da gente di pianura. Dovevamo dimenticare le strade polverose della bassa, i pioppi e le robinie. Lì al termine della strada asfaltata c’erano scalini di sasso, e a camminare avremmo sentito la fatica della salita, il cuore battere più forte.
 La strada sembrava non finire mai e ci fermavamo dopo pochi passi per il peso delle valigie. Finalmente arrivammo alle prime case di Montesinaro. C’era una signora anziana che cuciva seduta sull’uscio di casa (avremmo saputo in seguito che si chiamava Costantina) cui domandammo indicazioni. Soppesò con lo sguardo le valigie e pronunciò la maledizione accompagnandola con un gesto della mano: “ a l’è nsù, madama”. 
 Bene o male raggiungemmo la meta, ci vennero mostrati i locali che avremmo occupato (una cucina ed una stanza) e consegnate le chiavi. Dalla finestra della cucina lo sguardo sulla valle aveva compensato la fatica passata e avevo cominciato a intuire quello che nessuno ti può insegnare: che niente ti viene regalato e quello che ottieni ha dietro fatica e sudore. 
 Non avevamo acqua in casa , così trasportammo piatti pentole e bicchieri alla vicina fontana per poterli risciacquare. Fu allora che un refolo di vento ci chiuse la porta alle spalle. Panico da parte mia: le chiavi sul tavolo della cucina, l’unica finestra aperta nella stanza del secondo piano. Mia nonna non si perse d’animo: aveva visto due guerre ed era abituata a ben altro. Si procurò una scala presso il falegname del paese e con un po’ di fortuna trovò l’uomo giusto che si sarebbe arrampicato sul balcone del secondo piano. Nella mia memoria di ragazzo di dodici anni , accanto ad immagini più sbiadite e lontane, è rimasto vivo e presente il ricordo di quel giorno.

 L’estate passò senza intoppi: di giorno alla scoperta dei luoghi, di sera a giocare a carte presso vicini di casa con cui mia nonna aveva stretto amicizia. Fu in quelle occasioni che scoprii un lato nascosto del suo carattere. Conoscevo il sottile senso dell’umorismo con cui condiva le interminabili storie che si inventava per tenermi buono quando la mia salute cagionevole mi costringeva al letto. Tuttavia mai avrei pensato che dietro quello sguardo benevolo si nascondesse un’indole truffaldina che l’aveva portata a concordare con me una serie di segnali per comunicarci le carte. Questo patto segreto ci consentiva il più delle volte di vincere contro la coppia avversaria costituita da Adelma e dal genero Aldo. 
 L’anno successivo ci trasferimmo nella casa della signora Ada. Fu qui che conobbi Roberto e cominciai a frequentare i ragazzi che passavano l’estate nel paese: dapprima Marcello e suo fratello Gianni, poi Norbert e Michel. La mia prima escursione in montagna fu con un gruppo variegato ed eterogeneo di ragazzini, capitanati da Roberto T. che vantava esperienza presso il CAI di Biella: destinazione Monte Bo attraverso la cresta degli Altari. Un incubo per me che avevo appena capito di soffrire di vertigini e scoperto l’importanza di una attrezzatura consona. Le mie provviste erano contenute in una borsa a rete per la spesa che sbatacchiavo ad ogni passo: dentro pane, cioccolato e una pera che non riuscì ad arrivare integra in vetta. Fu allora che mia nonna decise che avrei dovuto avere uno zaino: insieme ci recammo a Biella dove ne acquistammo uno sul mercato. Più che uno zaino era uno strumento di dissuasione per aspiranti alpinisti: tendeva a scivolare sulla zona lombare garantendo un alone di sudore che ti avrebbe accompagnato per tutta la durata dell’escursione. Solo alcuni anni più tardi, in piazza Chanoux ad Aosta, vidi uno zaino Millet che aveva un distanziale che consentiva la circolazione dell’aria sul dorso. Non c’erano dubbi: quello avrebbe accompagnato le mie gite future. E così fu. 

 Mano a mano che gli anni passavano si rinsaldavano quelle amicizie estive che erano nate per caso o per necessità: mantenevamo i contatti durante il periodo della scuola immaginando progetti che avremmo realizzato nei mesi a venire. Le nostre giornate in montagna trascorrevano all’insegna della tranquilla normalità: qualche libro, partite a carte o a pallone sul sagrato della chiesa; da metà agosto in poi la ricerca dei funghi costituiva una attività sistematica. Alla sera l’appuntamento era al bar della Bettina di Piedicavallo, dove si pianificavano le escursioni. Con Norbert e Roberto abbiamo camminato su tutti i sentieri della zona, spingendoci in Valsesia o in Val d’Aosta. Quante volte ho maledetto le levatacce alle cinque del mattino mentre attraversavamo il paese ancora immerso nel sonno. Ma ne sarebbe valsa la pena. Di questo ne eravamo coscienti. 
 A differenza dei giovani di Piedicavallo ci consideravamo, con una certa aria di superiorità, giovani pratici e ruspanti. Questa rivalità, sovente taciuta o inespressa, culminava nella partita di calcio Piedicavallo contro Montesinaro che si svolgeva su un terreno neutro in località “Gabi”. Era una lotta all’ultimo sangue ed entrambe le fazioni sapevano con certezza che non ci sarebbero stati prigionieri. Questa era una rara occasione per metterci in mostra con le ragazze, ma sovente l’ammirazione palesata durante la partita terminava nell’anonimato e nell’oblio il giorno successivo. 

 In quella valle ho trascorso dieci estati. Lì ho preparato il mio esame di maturità. Da qualche parte c’è ancora una cartolina del paese immerso nella frescura che mi raggiunse nell’afa di Novara qualche giorno prima dell’orale. Riportava una frase che era solita pronunciare la mia insegnante di Italiano: “Forza e coraggio” , seguita da tutte le firme dei vacanzieri. Maledetti, prima o poi capiterà anche a voi. 

 Nel 1972 mia madre decise che non saremmo più andati a Montesinaro durante le vacanze estive. Io e mia nonna non ne abbiamo mai parlato, per una forma di rispetto che era dovuto, ma credo che nessuno dei due le abbia mai perdonato questa scelta. Oggi sono grato a mia nonna che mi ha accudito con pazienza, lasciandomi camminare in libertà come sanno fare le buone compagnie. 
Dopo il 1972 mi è capitato più volte di ritornare al paese per una breve puntata. Non si può immaginare il piacere sottile di essere riconosciuto dalle persone del luogo e la commozione che sta dietro a un semplice saluto. Oggi non succede più, ci sono volti nuovi. 

 Gli anni sono passati ma le amicizie sono rimaste, seppure con frequentazione diversa. I casi della vita ci hanno portato a visitare altri luoghi e a incontrare altre persone. Ma a volte i sentieri che ognuno percorre si riuniscono per un breve tratto per poi ridividersi nuovamente. Quello che ci lega è il filo sottile della memoria, qualcosa che abbiamo avuto in comune in quella stagione irripetibile che è stata la nostra giovinezza.


Montesinaro anni 60



Montesinaro 2017